Bisogna che i rapporti di lavoro discontinuo e occasionale siano regolati in modo snello e senza pastoie burocratiche.
I voucher possiedono queste caratteristiche. Perché, allora, si sono trasformati nella scandalosa legalizzazione di una nuova forma di caporalato? Per rispondere a questa domanda bisogna di certo evitare, perché inutili e fuorvianti, sia disquisizioni giuslavoristiche, sia giudizi etici su imprenditori “cattivi” che perseguono biechi interessi.
L’esigenza delle aziende di dimensionare in modo flessibile la loro capacità produttiva non è l’argomento che può giustificare l’adozione dei voucher: sia l’importo molto ridotto che la totale assenza di tutela dei diritti civili fa sì che questo strumento sia tollerabile solo in caso di estrema eccezionalità del rapporto di lavoro. D’altro lato, però, i voucher costituiscono uno strumento contrattuale snello che consente di evitare le ingessature burocratiche della magistratura e dell’ispettorato del lavoro. Ma una cosa sono le ingessature burocratiche, altra cosa invece qualche apparato di controllo che permetta un adeguato ed efficace sistema sanzionatorio che punisca chi non rispetta le regole del gioco.
Uno dei nodi centrali delle disfunzioni del “sistema Italia” consiste proprio nel fatto gli apparati di controllo sono inefficaci: i reprobi riescono quasi sempre a evitare le maglie della “giustizia”. Nel caso specifico, infatti, non viene di fatto sanzionato l’uso inappropriato dei voucher.
Questo garantismo a rovescio riguarda, purtroppo, non soltanto i voucher, bensì tutte le regole che toccano chi ha la concreta possibilità (anche economica) di utilizzare schiere di legulei che attraverso cavilli possano aggirare una “giustizia” solo formale. Insomma abbiamo un sistema di garantismo peloso che garantisce l’impunità ai delinquenti e non fornisce alcuna tutela alle vittime.
Invece di continuare a modificare norme o procedure burocratiche sarebbe opportuno rivoluzionare i nostri apparati amministrativi, soprattutto le modalità di funzionamento della magistratura e degli altri organi di controllo.
Giorgio Nigro
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