La Sindrome Roki è poco conosciuta ma è una realtà

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Si tratta di una patologia che non ha ancora ricevuto particolari attenzioni ma che colpisce molte donne.

Il 20 febbraio è stata la Giornata Mondiale dedicata alle Malattie Rare e la sindrome di Roki può essere inclusa tra queste infatti non è ancora stata riconosciuta tra le patologie rare quindi le cure sono ancora molto indietro benchè ne soffrano parecchie donne che si sentono giustamente abbandonate e incapaci di affrontare la malattia con i giusti mezzi. Ma di che cosa si tratta esattamente? Ề una condizione congenita e le donne che ne soffrono nascono del tutto o in parte prive di utero, in certi casi sono presenti anche altre complicazioni ai reni, al cuore o alla colonna vertebrale e purtroppo se ne parla pochissimo nonostante 1 neonata ogni 4-5.000 nasca con questo disturbo. La parola “roki” vuol dire roccia, un termine duro che vuole proprio indicare donne forti che si sono trovate ad affrontare una situazione molto complicata, donne che vivono una vita a metà e che non si sentono complete al 100%, sentono la loro femminilità sminuita; essendo sterili non possono restare incinte naturalmente ma hanno solo tre scelte possibili e cioè l’adozione, l’utero in affitto che però è vietato in Italia e il trapianto di utero, ancora in fase di studio. Si può ben capire quanti ostacoli possono incontrare e soprattutto quanta frustrazione provino: molti medici non sanno nemmeno dell’esistenza di questa malattia e le donne che ne sono colpite si sentono ignorate, abbandonate anche perché da un punto di vista legislativo, la sindrome di Roki è stata per un lungo periodo non riconosciuta.

Inoltre per molti anni, agli interventi chirurgici non seguiva qualche tipo di sostegno psicologico quando invece sarebbe stato necessario perché non è facile spiegare e fare accettare a delle ragazze anche giovani una condizione del genere, dovrebbero seguire un percorso ad hoc di accettazione della malattia magari con il sostegno della propria famiglia. L’intervento chirurgico è ovviamente molto invasivo e non di facile esecuzione, lungo e con un decorso post-operatorio un po’ doloroso e per adesso esistono solo 2 centri specializzati nel nostro paese, a Roma e Milano dove questa malattie viene curata a 360 gradi ma sarebbe opportuno che anche altri ospedali se ne inizino ad occupare. Alle donne che ne soffrono bisogna stare vicini, ascoltarle e confortarle perché si sentono donne “imperfette”, molto spesso cadono in una profonda depressione dalla quale escono difficilmente se non vengono supportate adeguatamente, lamentano spesso di essere lasciate sole, trattate con poca delicatezza e nessun tatto.

L’associazione che raduna le donne con questa patologia si chiama ANIMrkhS ed è attiva solo da 3 anni, conta 50 iscritti e si tratta di un luogo d’incontro e di confronto dove le ragazze parlano delle loro paure, delle loro speranze per il futuro, dove possono sfogarsi ed esprimere la loro rabbia, il loro dolore, l’enorme solitudine che sentono ma al tempo stesso possono trovare solidarietà e nuove amicizie. Grazie all’aiuto di questa associazione le donne finalmente si iniziano a sentire capite, non sono più lasciate sole a combattere contro un male e una sofferenza incredibili, hanno deciso di farsi sentire, di far sentire la loro voce, non vogliono più essere invisibili ma anzi, vogliono che tutti sappiano le avversità che può comportare la malattia. Pensate che molte donne, per un lungo periodo, non sono più riuscite ad andare da un ginecologo, quasi provassero vergogna o perché addirittura si sentivano in colpa a causa di questa loro “mancanza”, una condizione assurda perché non ci sono colpe da imputare.

Allora mi auguro che questa sindrome così subdola e dolorosa possa cominciare a essere studiata più a fondo così che le cure e gli interventi possano migliorare, diventando più efficaci e magari meno invasivi; perché essere donna è anche altro.

Valentina Trebbi

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