Maldestro, canzoni per abbattere i muri che abbiamo dentro

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Parte da Bologna il tour del giovane artista emerso nell’ultima edizione del Festival di Sanremo.

Il nome d’arte l’ha preso da una sua attitudine. Per questo Antonio Prestieri, promessa della canzone d’autore italiana, ha scelto di chiamarsi Maldestro, per scherzare su quella timidezza che lo porta a essere talvolta un po’ goffo e impacciato. Napoletano, classe 1985, ha vissuto a Scampia e ha vissuto tutte le fatiche di un contesto tutt’altro che facile. Che non ne può più “del giornalista che ancora mi chiede chi era mio padre” ne scrive anche in una canzone de "I muri di Berlino", il secondo album di una carriera tutta in discesa costellata già di premi, tra cui quello della critica nella sezione Giovani con il brano “La canzone di Federica” ascoltata all’ultimo Festival di Sanremo. Oggi mercoledì 12 aprile alle 21 al teatro San Leonardo (via San Vitale 63) comincia il tour che lo porterà in giro per l’Italia.

Maldestro, perché questo titolo “I muri di Berlino?”

Con questo disco ho cercato di raccontare i muri che ci portiamo dentro e allo stesso tempo volevo rendere omaggio a una città, Berlino, a cui sono molto legato. È una città che nonostante tutto si è sempre rialzata e dove c’è un grande fermento artistico, culturale e lavorativo. Auguro a tutti i giovani di passarci almeno un mese, magari l’Italia fosse così. 

Come nascono le tue canzoni?

In modo molto naturale. Sento l’esigenza di scrivere tutti i giorni e racconto una quotidianità semplice in cui anche altre persone possano riconoscersi. Lo faccio per svuotare e alleggerire quello che ho dentro che mi serve per andare avanti e per crescere.

Hai cominciato molto presto a suonare ma in realtà sei tornato alla musica da poco.

Mia madre mi ha regalato un pianoforte a 9 anni ma ho cominciato a cantare solo quattro anni fa. Il posto in cui sono nato, Scampia, è pieno di storie da raccontare e l'ho fatto occupandomi di teatro sociale per anni come autore e attore.

Sei un napoletano all’apparenza un po’ insolito, preferisci Gaber a Pino Daniele.

Quando l’ho detto, giù a Napoli è successo un putiferio. Pino Daniele è il più grande di tutti ma lo amo come musicista, non in quanto napoletano. A volte si rischia di fare solo il tifo, la nostra napoletanità può essere una marcia in più ma può essere anche un limite, non dobbiamo rimanere impelagati nelle nostre tradizioni. Personalmente seguo la strada di quel poeta, regista e filosofo che è stato Massimo Trosi: dopo la sua morte non c’è stato più nessuno che ha raccontato Napoli come lui che ha cercato di distruggere tutti i luoghi comuni sulla città. 

Oltre a Gaber, chi sono i tuoi punti di riferimento?

Di sicuro De André. Jannacci e Ivano Fossati che ho scoperto a circa 12 anni e mi hanno rovinato la vita: è colpa loro se sto facendo questo mestiere, con tutti i sacrifici e i dolori che comporta.

E con Lucio Dalla che rapporto hai, visto che suonerai nella sua città?

Ottimo, ultimamente lo sto ascoltando molto, soprattutto Dalla del 1980. È incredibile vedere come un artista come lui, che giocava con la musica e la voce, a quel tempo avesse già fatto tutto. I suoi album hanno anche più di quarant’anni ma sono ancora moderni. Del disco Dalla adoro "La sera dei miracoli", "Cara" mi fa impazzire: sono pezzi che hanno fatto la storia del pop nella sua accezione più bella. 

Tornando al tuo di disco, tra le dieci tracce ce n’è anche una che lascia il segno, Sporco clandestino.

Quando abbiamo chiuso l’album con il mio produttore ci siamo detti che magari qualcuno quella traccia l’avrebbe saltata durante l’ascolto. Io ho raccontato in maniera nuda e cruda il viaggio di un bambino che scappa dalla guerra e che non viene accolto come dovrebbe nel nostro paese attraverso i suoi occhi. A quel bambino è stata strappata la meraviglia, un sentimento che gli servirà quando sarà più grande e comincerà ad alzare i suoi muri. I bambini sono delle spugne e vedere come ad alcuni viene strappata la purezza con quella violenza è una cosa che mi fa stare male, e io so cosa significa perdere quella meraviglia. Non ho soluzioni, posso solo scriverne, forse egoisticamente per sentirmi meglio. È solo il mio punto di vista, non voglio insegnare niente: io stesso ho ancora tanto da imparare.

Giorgia Olivieri

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