Spettacoli, laboratori e altre amenità, fino al 26 novembre a Bologna c'è il Festival 20 30.
Ho imparato molte cose dalle amare esperienze della mia famiglia nel campo del radicalismo: se il cambiamento deve verificarsi, si verifica sul terreno tra gente che parla con franchezza dei propri bisogni interiori più che attraverso sollevazioni di massa. Ma un regime che non fornisce agli esseri umani ragioni profonde per interessarsi gli uni degli altri non può mantenere per molto tempo la propria legittimità.
Richard Sennett, L'uomo flessibile.
Ce ne parlano i giovani di Kepler-452 e Avanguardie 20 30.
È la sera di martedì 14 novembre e siamo a La Confraternita dell'Uva, in via Cartoleria, nel centro di Bologna, a pochi passi dal Teatro Duse. L'enoteca-libreria è stracolma di ragazzi tra i 20 e i 30 anni, molti di loro hanno frequentato il Liceo Classico Statale Minghetti, uno dei più noti della città, ma non mancano studenti universitari da tutta Italia e qualche habitué.
Stanno aspettando l'inizio della presentazione di quello che da qualche anno è diventato per tanti un appuntamento fisso con il teatro e la musica: il Festival 20 30.
Nato nell'autunno del 2014, e supportato da un crescente passaparola, il Festival ha visto, durante la sua prima edizione, quattro giovani compagnie teatrali presentare quattro spettacoli legati all'avere tra i venti e i trent'anni oggi. A seguire, quattro rispettivi laboratori dall'esito spettacolare hanno invitato i partecipanti a parlare di sé, dei propri disagi e paure ma anche di energie, capacità ed esperienze, messe a confronto e in dialogo con gli scenari più o meno apocalittici prefigurati dalle vecchie generazioni.
Da quest'esperienza, promossa da Kepler-452, si è costituito uno zoccolo duro di studenti under 30, che, oltre a essere mossi dal desiderio di continuare a fare insieme teatro, quest'anno ha per la prima volta affiancato il gruppo nella direzione artistica del Festival, oltre che sul piano operativo, con il nome di Avanguardie 20 30.
Abbiamo chiesto ai direttori artistici, l'attore Nicola Borghesi e il regista Enrico Baraldi di Kepler-452 e a Marina Taddia, tra i protagonisti di Avanguardie 20 30, di raccontarci qualcosa di più su questa quarta edizione, realizzata sulla scia di un titolo ironico e provocatorio: “Catastrofe”.
Un titolo così definito, che ha smosso l'attenzione anche di chi i 30 li ha superati da un po', merita qualche divagazione...
NICOLA BORGHESI: Diciamo che dietro c'è un piccolo storico. Abbiamo avuto una serie di titoli che hanno in qualche modo disegnato un percorso. Il primo anno siamo partiti con un titolo che era “Chi saranno i 20 30 nel 2030?”, che poneva quindi un elemento di indagine generazionale. Successivamente abbiamo pensato di mantenere lo stesso nucleo di indagine ma anche che sarebbe stato più saggio declinarlo su altri temi. Il secondo anno così il titolo è stato “Rivoluzione?” e quello dopo “Non supereremo mai questa fase”, ed è stato quando io ho compiuto trent'anni e ci siamo detti, ok, siamo qui ancora a fare gli “sbarbi” ma prima o poi dovremo entrare nella vita adulta... E allora ecco l'insorgere di altre domande... Come ci entreremo? Che cosa significa? Chi si diventa quando diventi un adulto? Quest'anno, dopo tre anni in cui cerchiamo di immaginarci il futuro ci chiediamo: e se il futuro non ci fosse? È comunque uno dei sentori che esiste, che ci sembrava bello esplorare e forse anche esorcizzare. Per questo motivo chiederemo a tutte le compagnie ospiti di lavorare nei loro laboratori sul tema per l'appunto della catastrofe.
Foto: manifesto del gruppo teatrale dei I Camillas
Come si declineranno parallelamente al resto della programmazione?
N.B.: Ogni compagnia e addirittura alcune delle band musicali invitate terranno un laboratorio della durata di quattro giorni, quattro mezze giornate, in cui si lavora con un gruppo esteso di 20 persone, rispetto a cui non c'è nessuna selezione, l'ordine è rigorosamente di arrivo. I laboratori sono gratuiti per chi vi partecipa, mentre alle compagnie chiediamo di indagare sulle identità delle persone, di cercare di sondare un immaginario e portarlo in scena per restituirlo pubblicamente.
Da dove arriva il futuro? È qualcosa che cade dall'alto?
N.B.: Non ne ho idea e dirlo è anche una presa di posizione, non una non-risposta. Stante la discrepanza tra noi e chi c'è stato prima di noi, i nostri genitori, la prospettiva si è accorciata, si guida senza gli antinebbia, io stesso non so se l'anno prossimo questo Festival ci sarà ancora, se avremo mezzi, adesione o io che cosa sceglierò di fare... Da un lato, è chiaro, la situazione attuale mi crea angoscia, credo però che se una differente prospettiva improvvisamente ti cade dall'alto, non sempre sia necessariamente un male. Come progetto senza “fare progetti”? Questa è la vera domanda che noi tutti ci stiamo ponendo. Fin qui facendo delle scelte sull'onda del momento che ho reputato giuste, sono arrivato in dei posti in cui sono stato felice... Considerato il fatto che non avrò probabilmente la pensione spero che se arriverò da qualche parte con le mie scelte starò bene e se non succederà... Catastrofe! Ed eccoci all'ironia...
A proposito di ironia...C'è chi sostiene che oggi l'ironia venga spesso utilizzata dai giovani per non prendere una reale posizione sulle cose, una presa di distanza che poi, ai fatti, rischia di rivelarsi innocua...
N.B.: È chiaro che questa forma di distacco è pericolosa, ma la base di chi la vive è molto più larga e quindi il distacco più ricercato, ha un valore diverso rispetto a quello che può avere per una persona di sessant'anni di una certa classe sociale che ha avuto tutto garantito dalla vita. Io che sono in ballo ho tutto il diritto di farla.
Con quali criteri avete scelto gli spettacoli e le compagnie in programma insieme alle Avanguardie 20 30?
MARINA TADDIA: Abbiamo fatto tutto insieme, una quindicina di persone che si sono unite dopo i laboratori delle precedenti edizioni, io stessa sono una di quelle, abbiamo partecipato al bando di Incredibol, e partecipato alla programmazione, scegliendo gli spettacoli semplicemente sulla base dei nostri gusti, il principio di piacere è sicuramente un nostro criterio, in coerenza con i temi proposti ogni anno e favorendo gruppi che difficilmente in altri circuiti avrebbero modo di apparire.
Fino ad ora il festival era stato ospitato principalmente presso l'Oratorio di S. Filippo Neri, ora ci si sposta anche fuori dal centro, precisamente in Bolognina con “Lapsus Urbano”, e in una dimensione domestica, nelle case degli studenti, con “Exit”...
Foto: scena tratta da Homo ridens. Spettacolo Sotteraneo
ENRICO BARALDI: Quest'anno abbiamo deciso di evolverci da questo punto di vista. Io curo la regia di Lapsus Urbano, un percorso che si terrà il Bolognina il 20, 21 e 22 novembre alle ore 15, che parte dal desiderio di allargare il nostro pubblico. Pur sostenendo fortemente il teatro partecipato anche nei nostri laboratori, ci siamo accorti che tutto il nostro pubblico era quello degli studenti universitari, che abitano soprattutto in centro. Spaventa il fatto che una grossa fetta di città non riesca a raggiungere un minimo di coinvolgimento che lo porti a provare a vivere esperienze teatrali e culturali in genere. Attraverso Incredibol abbiamo creato l'esperimento di “Lapsus” che porterà attraverso un audio-guida 20 spettatori in giro per la Bolognina, concentrandosi sul rapporto tra passaggio urbano e chi lo abita. Così come abbiamo cercato di spingere gli studenti dal centro alla periferia, abbiamo già coinvolto diverse realtà del quartiere che speriamo si spostino in centro a seguire altri appuntamenti del Festival.
M.T.: Molte avanguardie erano interessate all'esplorazione di altri linguaggi artistici. Con “Exit” abbiamo creato una programmazione off dove spettacoli di varia natura, dal ballo all'arte tout court alla musica vengono ospitati nelle case degli studenti e concepite in questo senso come site-specific, l'insieme è molto più intimo.
E.B.: Interessante è anche l'incontro, una delle caratteristiche di Festival 20 30, in questo caso la relazione tra l'artista, chi abita la casa e la casa in sé. Ogni incontro contiene la biografia di chi lo costruisce. Far incontrare persone che di solito non si incontrano e da lì sprigionare un'energia frizzante e in grado di propagarsi è per noi molto importante. Gli spazi divengono importanti anche come Kepler, come compagnia, grazie ad un doppio movimento centrifugo e centripeto dall'interno all'esterno e viceversa che caratterizza la nostra ricerca ed estetica. Ci facciamo sporcare dalla realtà e cerchiamo di riportarlo sul palco cercando di “magnificare delle identità”, una frase che Nicola usa spesso, il che accade anche nei laboratori nel Festival di 20 30, è anche un modo per “conferire potere”, anche se potere è una parola scivolosa.
N.B.: È vero e resta un aspetto importante. Con questo Festival, la prima volta, dopo essere uscito da un'esperienza traumatica, ho scelto di conferirmi un potere su qualcosa. Bisogna farlo. Nel presente se non lo fai, anche rispetto ad altro, lo prenderà qualcun altro. Se non agisci, questo avrà delle conseguenze a sua volta e potrebbero non piacerti.
Lucia Cominoli
Per ulteriori informazioni e il programma completo: www.festival2030.com
Tutte le proposte sono a ingresso libero
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