Anche le macchine possono avere un cuore

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Intervista a Valentina Marchesini della Marchesini Group, leader nell'automazione industriale.

In Marchesini Group, si occupa delle risorse umane, da donna e leader di un’importante industria bolognese quali strategie una donna può adottare per imporsi in contesti imprenditoriali spesso formati da uomini?

Se ne parla molto, ma io sono assolutamente contraria alle quote, sia in politica, sia in economia perché la donna non è un koala che si sta estinguendo e quindi che bisogna proteggerla con delle quote. Mi fa paura pensare che all'interno di un CdA, o tra i Consiglieri di un Comune ci debbano essere per forza delle donne a prescindere del livello di preparazione. 

Le donne hanno un passo in più, una spinta differente, che non si manifesta con delle quote. Nelle aziende le donne non hanno bisogno della poltrona per dimostrare il loro valore. Le donne si realizziamo con altre cose che sono: la famiglia ed anche il saper fare meglio a volte, rispetto agli uomini, per la loro sensibilità. 

Detto questo, in azienda però bisogna fare molta attenzione alla condizione delle donne perché possano partire alla pari per me, infatti, bisogna garantire a tutti e tutte questa situazione. Credo che Marchesini Group lo faccia, purtroppo, e questo mi dispiace, sono poche le ragazze che scelgono un percorso di studio tecnico, però le ingegnere che abbiamo gestiscono i progetti dall'inizio alla fine per far sì che la macchina venga costruita bene. 

Da noi non viene scelta una donna piuttosto che un uomo e viceversa, qui scegliamo le persone in base alle loro capacità e le facciamo crescere. Tutte le iniziative interne sono fatte pensando al welfare e al risparmio del tempo, spiego: qui si ha la possibilità di portarsi a casa la cena che vuol dire che a casa non devi cucinare, ti piace fare sport, fai sport durante l’ora della pausa così quando vai a casa hai già fatto anche quello, ti piace giocare al computer, giochi al computer, vuoi fare un aperitivo, fai un aperitivo, vuoi fare i compiti con tuo figlio, fai i compiti con tuo figlio, puoi fare quello che vuoi.

Marchesini Group Esterni

Foto: esterni della Marchesini Group

Un’iniziativa che attiveremo nelle prossime settimane è il lavasecco che ti porta i vestiti lavati e stirati qui, si avrà la possibilità di farsi portare da Amazon o altri i pacchi, quindi non si deve più andare in posta a ritirarli, tutta una serie di piccole iniziative che concorrono al fatto che le persone risparmino tempo. 

Questo vale mille volte di più per una donna che oltre alle 8 ore di lavoro ne deve fare altre a casa. L’ultima proposta è dare alle ragazze incinta un oggetto per occupare, la sera prima, il posto auto per la mattina dopo così da essere vicino all'ufficio. 

Sull'alternanza scuola-lavoro come vede questa iniziativa del Ministero del Lavoro e come ne fate tesoro?

Innanzitutto è un’idea ottima, un ritorno all'apprendistato di un tempo quando i ragazzini andavano a bottega ad aiutare gli artigiani. Idea ottima, ma con decreti attuativi non funzionanti, nel senso che non hanno obbligato le imprese a fare niente per cui si attiva solo chi è un po’ lungimirante. Noi lo facciamo perché comprendiamo che è un investimento: è evidente che io, che ho un gran bisogno di personale specializzato, prima li conosco, prima li prendo, meglio sto. Hanno obbligato la scuola a farlo, ma non l’impresa a riceverli per cui sta tutto all'iniziativa personale degli insegnanti.

Noi abbiamo tantissimi ragazzi in alternanza ma tendenzialmente assumiamo gente neo diplomata o neo laureata perché abbiamo bisogno di gente preparata. L’alternanza è un periodo breve perché le tre settimane in cui i ragazzi stanno qui sono poche, sicuramente impari che alla mattina alle 8 devi essere lì perché ci sono altre persone che ti aspettano e devi stare lì concentrato fino alle 17 e non ti puoi distrarre con cellulare o altro. 

Ma se già queste poche settimane ti insegnano la cultura del lavoro, del sacrificio, dell’impegno e ti dicono se effettivamente quel lavoro ti piace oppure no, secondo me già diamo ai ragazzi, che mi sembrano molto soli in questo tempo storico ed anche le loro famiglie, un feedback importante.

Sappiamo che è membro del “Fare impresa in Dozza”, Fondazione nata dalla collaborazione di varie imprese per portare lavoro all'interno della Casa Circondariale di Bologna. Ci può raccontare qualcosa di più di questo progetto?

Il progetto nasce da un’idea dell’Avvocato Minguzzi, Professore universitario che ha voluto provare a portare il lavoro dentro al carcere non nelle forme classiche. Ha coinvolto Marchesini, GD ed IMA, e questo è stato il primo grandissimo successo dell’iniziativa, mettere insieme tre aziende concorrenti a fare insieme una cosa utile. Abbiamo coinvolto la Fondazione Aldini Valeriani che si occupa della parte di formazione e non abbiamo fatto una Cooperativa ma una vera e propria azienda che deve sostentarsi e di cui noi siamo i committenti ed i clienti. 

Valentina Chiara E Giusy

Foto: intervistata (al centro) e intervistatrici

Li paghiamo esattamente come un nostro sub fornitore esterno, in più gli abbiamo insegnato un mestiere, gli abbiamo dato i macchinari, assumiamo i ragazzi a tempo indeterminato col contratto metalmeccanico base che ovviamente decade quando escono dal carcere (non prendiamo ergastolani) ma gente con pene medio-lunghe ai quali non chiediamo perché sono lì. Alcuni, quando sono usciti sono stati assunti dalle nostre imprese, ed addirittura uno, assunto dalla Ima ha cominciato ad andare in trasferta. Ad insegnargli il lavoro sono i pensionati delle nostre aziende. Quindi abbiamo messo assieme due necessità, perché secondo noi la riabilitazione delle persone in carcere è segno di una civiltà vera che guarda al futuro.

Le nuove generazioni sono formate per raggiungere il mercato del lavoro?      

Noi prendiamo giovani diplomati alla scuola tecnica, la sfida è quella di stare vicino alla scuola per tentare di aiutarla a migliorare la qualità dell’insegnamento, che vuol dire fare corsi di formazione ai Professori, aprire le nostre aziende agli studenti, alle famiglie. La risposta purtroppo è no, non sono adeguatamente preparati e purtroppo noi aziende facciamo del nostro meglio ma non è facile. Quando si sente dire che fare impresa in Italia è difficile non è preciso, gli imprenditori sono degli eroi perché assumono uno che ha 18 anni, gli danno lo stipendio dal primo giorno, ma per i primi due anni non è operativo, quindi gli insegno e lo pago per un mestiere che gli avrebbero dovuto insegnare a scuola. 

E per i ragazzi che hanno concluso il percorso universitario?                            

Io dico sempre che l’Università è importante a prescindere, perché ti dà un’impostazione mentale, anche se non insegna a fare le cose, il mestiere te lo insegniamo noi. Sicuramente a chi ha fatto l’Università è impostato per collaborare, per imparare, però un conto è insegnare il lavoro in 6 mesi, un altro è in 2 anni, perché questo significa investire tanti soldi. 

Ci stanno provando con le lauree professionalizzanti, tra un po’ succederà il finimondo perché dovrebbero durare due anni dai quali tu esci da ingegneria e sei un ingegnere, ma così non è! Purtroppo siamo un po’ schiavi del titolo perché, ad esempio, la professionalizzante in Germania c’è da sempre. Io sono molto preoccupata per l’Università, non tanto per gli insegnamenti che sono forse troppo aulici, ma diamo pure cultura alla gente, sono preoccupata per la città perché ho la sensazione che politicamente non abbiamo deciso una direzione e non so se vogliamo che questa continui ad essere una città universitaria o diventi una città turistica?!

Marchesini Group Macchinario

Foto: macchinario per il packaging

Badate che non sono contraria al fatto che Bologna sia diventata una città con molta gente che la visita però, nel momento in cui metti gli studenti a dormire nelle cantine e affitti appartamenti a 200 euro a notte ai turisti, forse c’è un problema. 

Parlando dell’inserimento lavorativo delle persone disabili, in che modo nella Marchesini Group viene trattato questo tema?

Non come un obbligo, ma come una possibilità. Praticamente da azienda siamo diventati una comunità, perché solo qui siamo in 600, in tutto siamo in 2000 e per questo credo che la comunità debba avere al suo interno tutte le parti che compongono normalmente la società; coinvolgere i portatori di handicap in azienda è innanzitutto un aiuto per loro, ma è soprattutto una grande scuola di vita per tutti gli altri.

Se devo fare un’autocritica è non trovare la mansione giusta per la persona giusta, ovvero vedo persone diversamente abili non utilizzate al massimo delle loro potenzialità. L’azienda come comunità diventa portatrice delle maestranze e dei problemi che tutti hanno che siano normodotati oppure no, che abbiano famiglia oppure no, per questo tentiamo di collaborare con Associazioni che implementano iniziative in tal senso

Ci tengo a dire una cosa: crescere come azienda è bello, ma la fatica è quella di non perdere il modo che hai di fare le cose e di trasferirlo a tutti.

Chiara Garavini e Giusy Carella

In Redazione Fabio Nanetti

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