Fondazione Corazza, in primis contro la psoriasi

Salute
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La Fondazione si batte per migliorare la qualità della vita di chi soffre di patologie dermatologiche.

Natalino Corazza era un imprenditore nel settore della produzione di macchine automatiche per l’imballaggio e ha sofferto di questa malattia che ne ha condizionato la vita, costretto a curarsi con metodi spesso dolorosi o inefficaci e che alcune volte gli hanno procurato danni collaterali.

Nel 2014 sua moglie Maria e la figlia Valeria fondarono la Fondazione che porta il suo nome allo scopo di aiutare e provare a migliorare la qualità della vita delle persone affette da psoriasi attraverso il finanziamento della ricerca scientifica finalizzato alla possibilità di trovare le cause e di conseguenza nuove cure.

La psoriasi è una malattia multifattoriale cioè dipende da una combinazione di diversi fattori ed è per questo che non si sanno ancora le cause scatenanti.

Non è contagiosa ma che è devastante in modo particolare a livello psicologico perché cronica e recidiva ed essendo caratterizzata da macchie rosse ben visibili, provoca imbarazzo, le persone che ne sono colpite si sentono discriminate e sole perché si sentono “marchiate”. 

Purtroppo una cura risolutiva non esiste e per questo la Fondazione attualmente sta supportando un progetto di ricerca in collaborazione con l’Università di Modena e un nuovo progetto in collaborazione con l'Università di Ferrara volto a trovare una correlazione tra lo sviluppo della malattia ed i linfociti T, cellule del sistema immunitario che si attivano in presenza di una placca psoriasica. 

Natalino Corazza A Mezzo Busto

Foto: Natalino Corazza a mezzo busto 

Un altro dei principali contributi già attivi che ha dato la fondazione riguarda la fototerapia domiciliare gratuita, una soluzione che è stata resa possibile anche grazie a una convenzione siglata con il Policlinico Sant'Orsola di Bologna nel cui reparto di Dermatologia sono in cura numerose persone che però non sempre riuscivano a recarsi in ospedale per la terapia. 

Molti pazienti non potevano recarsi sul posto o per motivi di lavoro, di distanza eccessiva, di età ma anche di invalidità, un motivo quest’ultimo più che comprensibile e che ha posto l’attenzione sul rendere le cure più disponibili per tante persone.

Soffrire di questa malattia non porta solo un disagio fisico ma come accennavo, le persone che ne soffrono provano sentimenti di sconforto, rabbia e rassegnazione perché non vedono una risposta risolutiva, la malattia diventa quindi prima di tutto psicologica. 

Per questo esiste il progetto “PsoPsiche” che è rivolto a sostenere psicologicamente i malati e che vuole fornire un aiuto concreto, un supporto che possa aiutare ad alleviare il malessere psicologico che provano tante persone colpite da questa patologia. 

Valentina Trebbi

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