Don Lorenzo Milani, la pedagogia del riscatto

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Editoriali
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Quest’anno ricorre il 50º anniversario della morte, lo stesso Papa Francesco lo ha elogiato, peccato che la Chiesa arrivi sempre dopo.

Fu attorno al 77 che ebbi modo di scoprire questo grande educatore, attraverso la lettura di “Lettera ad una professoressa”. Di lì a due anni avrei avuto modo di laurearmi proprio in pedagogia e quel libercolo, fuori ordinanza anche solo a prima vista, così quadrato, con una copertina bianca, con una elegante rilegature in brossura, fu per me rivelatore. Era un’epoca di grande contestazione all’Università, si inneggiava al 26 garantito, con la scusa che i figli dei proletari partivano culturalmente svantaggiati, per cui con quella misura si potevano appianare le differenze.

Era anche l’epoca dell’incontro tra comunisti e cattolici, si stava lavorando all’idea del compromesso storico, che avrebbe dovuto portare comunisti di Berlinguer al Governo. Un progetto di grande respiro, culturale prima ancora che politico, che non andò mai in porto, ma che generò tante energie e mise in moto tante attività soprattutto nel sociale, insinuando l’idea di laicità negli stessi ambienti cattolici.

In questo clima la scoperta di Don Milani e della sua scuola di Barbiano, furono per me fondamentali. È vero che la accusa principale formulata alla scuola pubblica era quella di giudicare in maniera eguale ragazzi di provenienza e cultura diversa, ma in nessuna delle parti di quel libricino sta scritto che bisogna astenersi dal giudizio e lasciare tutti ignoranti così come sono. Anzi, si dice che chi è povero deve studiare più del ricco, per essere protagonista del proprio riscatto e la non obbedienza deve essere motivata e portare a risultati concreti. 

La Scuola Di Barbiana

 Foto: Don Milani con i ragazzi nella scuola di Barbiana

La scuola viene vista come un luogo di lavoro e di impegno, il sapere lo strumento principale per affermare la propria dignità di essere umano. Molti anni dopo ebbi modo di trasferire questo principio alle persone con disabilità, rispetto le quali non credo debbano essere praticati sconti o percorsi facilitati, tali da impedirne lo sviluppo della personalità e l’acquisizione del sapere, oltre alla possibilità di farsi strada nella società.

Diversi anni fa circolava un altro libretto “Il bambino che non sarà mai padrone”, nel quale con grande tenerezza ed amore si danno consigli su come organizzare la formazione dei disabili ed in particolare dei ragazzi Down. L’autore, Andrea Canevaro, un grande insegnante ed amico, non voleva certo relegare in una gabbia dorata i ragazzi con disabilità, sottraendoli alle asperità della vita e alle difficoltà dell’apprendimento, ma piuttosto sottolineare il valore della diversità nella società contemporanea. Tuttavia, una domanda mi è sempre rimasta sullo stomaco, perché nella nostra diversità non possiamo diventare padroni?

Questo messaggio di Don Milani mi sembra di grande attualità. Questo suo forte richiamo all’impegno, impegnandosi in primo luogo per se stessi, per la propria dignità, per il proprio riscatto, prima ancora che per dimostrare qualcosa agli altri, prima ancora di ottenere risultati. Lo studio, il lavoro, tutte scuole di vita, prima ancora che fonte di reddito. L’autonomia intellettuale, la capacità di discernere il vero dal falso, sono il vero patrimonio per ogni persona, in ogni società, in ogni epoca storica.

Maurizio Cocchi


La biografia di Don Milani in un articolo del 24 giugno a cura di Alessandro Legnani

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