Andrea Canevaro, la pedagogia dell’inclusione

Editoriali
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Un personale ricordo del Direttore.

Cosa sarà stato, l’autunno del 74 o del 75? Mi presentai in Largo Trombetti in piena zona universitaria a Bologna, con la mia carrozzella a motore, fermai quel trabiccolo davanti al civico 2 e, poiché risultava impossibile entrare per le dimensioni del veicolo e per i due scalini all’ingresso, feci chiamare il Professor Andrea Canevaro.

Dopo poco se ne uscì un trentenne già vicino ai 40, camicia a righe, sbottonata regolarmente sul collo, pantaloni color beige, con ogni probabilità acquistati alla Standa. Era un allegro cicciottello, un sorriso contenuto ma affabile, un tono di voce basso e avvolgente.

Chiesi notizie sulla Facoltà di Magistero, nella quale volevo iscrivermi, visto che non potevo iscrivermi a nient’altro perché avevo fatto le magistrali.

Mi aveva parlato di lui Marta Goldaniga, segretaria dell’Associazione Italiana Assistenza agli Spastici, anche lei disabile. Infatti, nonostante fosse da poco a Bologna con un incarico a Magistero, era già famoso nell’ambiente dell’handicap.

A quei tempi c’era un gran fervore attorno alla pedagogia e ai temi dell’educazione. Non posso parlare di tutto il Paese, ma sicuramente a Bologna molte delle attenzioni si concentravano sugli aspetti educativi.

Anna Chiodini con la sua Anffas muoveva i primi passi verso i servizi territoriali per disabili. Il Febbraio Pedagogico, ormai tradizionale appuntamento per gli operatori scolastici bolognesi, in quegli anni raggiunge il suo massimo splendore. La battaglia per i decreti delegati che aprivano le scuole alla partecipazione delle famiglie, giudicata come determinante per il rinnovamento del sistema scolastico, era al suo massimo storico, tant’è che di lì a poco le scuole ebbero i rappresentanti di classe e di istituto.

Insomma, il sistema formativo e la pedagogia sembravano il terreno migliore per innescare la rivoluzione.

Inclusione

Immagine: inclusione sociale

Erano diversi i professori di magistero che si collocavano su questa linea: Bertin, Gattuso, Frabboni, un po’ più defilato Bartolini, con cui ho dato la tesi, sono quelli che mi ricordo in questo momento.

Andrea Canevaro, sia pure con la sua pacatezza ed estremo rispetto delle idee di tutti, è stato sicuramente uno dei principali protagonisti di quella stagione. Infatti, con il focus che il suo pensiero poneva sia sull’individuo che sull’ambiente sociale, economico e strutturale, lo rendeva particolarmente adatto ad interpretare le istanze di cambiamento, in senso egualitario ed inclusivo, dell’intera società.

Le scienze dell’educazione andavano oltre la formazione delle nuove generazioni, per evocare la necessità di importanti cambiamenti sociali che dovevano accompagnare l’individuo nella sua crescita e inserirlo in un contesto accogliente e propositivo rispetto le sue necessità, superando l’istanza di omologazione proveniente dalla società industriale e riconoscendo l’unicità dell’individuo, per accettare ogni diversità e fanne un elemento di arricchimento per tutti.

Questa visione rischia tuttavia di trascurare lo sviluppo delle capacità individuali e l’autonomia della persona, disabile o meno che sia, annegando l’individuo nel mare magnum del sociale. Avviene, purtroppo in molti casi, che la pigrizia educativa, la scarsa motivazione professionale degli operatori e la grande inerzia che pervade le nostre istituzioni lascino l’individuo, ancor più se è disabile, senza gli strumenti e le motivazioni per far emergere le proprie capacità e dire la sua nella società.

Ebbi occasione di far presente ad Andrea questa perplessità, lui mi guardò, intuii che aveva capito, e facendo spallucce mi disse: «Si tratta di un dettaglio, io e te saremo sempre in sintonia».

Così, capii che dentro al concetto di ambiente c’era anche l’individuo e che il problema dello sviluppo delle capacità individuali non si risolve con una didattica ad hoc. La pedagogia e l’educazione non fanno miracoli e tantomeno promuovono rivoluzioni, ma neanche cambiamenti significativi, al massimo possono essere di supporto e di accompagnamento al cambiamento.

Di Andrea rimane un buon ricordo, grande lavoratore, animatore instancabile, promotore di tante ottime cause, lievito formativo per tanti operatori.

Maurizio Cocchi

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