Martina Palmieri, regista di Gruppo Elettrogeno Teatro, racconta lo spettacolo ispirato all'omonimo libro di J. Hull.
Quest'anno la nona edizione del Festival IT.A.CÀ, il primo Festival in Italia sul turismo responsabile, si arricchisce di una novità. Si tratta di Handyamo, si parte!, una rassegna interamente dedicata al turismo accessibile, che sabato 27 e domenica 28 maggio accoglierà presso lo spazio Dynamo-La Velostazione di Bologna incontri, animazioni, mostre, seminari e presentazioni su percorsi e esperienze nate da viaggi alla portata di tutti.
A concludere entrambe le giornate ci sarà lo spettacolo “L'amore cieco” di Gruppo Elettrogeno Teatro alle ore 18:30 e in replica alle ore 21.30.
Lo spettacolo, nato in collaborazione con il Museo Tolomeo, l'Istituto dei ciechi F.Cavazza, l'Unione Italiana dei ciechi e degli ipovedenti e Clelia Sedda, ideatrice di Error Day, avrà per protagonisti gli attori vedenti, non vedenti e ipovedenti della compagnia Orbitateatro. Un percorso itinerante e multisensoriale che condurrà il pubblico alla scoperta dei mutamenti percettivi ed emotivi propri di chi arriva alla condizione di cecità, fino a trovare nell'amore e nell'ineffabile lo slancio vitale per mettersi in relazione intima e creativa con il proprio corpo, interiorità e affetti.
Ne abbiamo parlato con Martina Palmieri, regista e conduttrice del gruppo insieme a Marilena Lodi:
Come è nato l'incontro con “L'amore cieco”, il libro di John Hull, da cui avete preso spunto per lo spettacolo?
Fu Fernando Torrente, il direttore dell'Istituto dei ciechi F. Cavazza di Bologna, a propormi questa lettura quando, nel 2008, io e Marilena cominciammo ad approcciarci a questo tema e a introdurre nell'Istituto un laboratorio di teatro rivolto a un gruppo misto, composto anche da persone non vedenti e ipovedenti. Ho subito riconosciuto nel libro del professore universitario di Toronto un libro diverso dagli altri, un livello di scrittura e una sensibilità altissima che accompagnano il lettore nel suo personale viaggio di cambiamento dalla condizione di vedente verso la cecità.
Un tema delicatissimo e molto doloroso che in genere preferisco non toccare, quando si tratta di affrontare teatralmente questo tipo di metamorfosi si corre infatti il rischio di cadere spesso in qualcosa di retorico e scontato, che, oltre a non essere interessante, non è lo scopo del nostro lavoro.
Foto: momento dello spettacolo
Quello che mi ha colpito in Hull è stata piuttosto la profondità che ha messo nel tentativo di capire quello che gli stava capitando in maniera poetica e analitica, sottolineando così il paradosso di come il suo corpo stesse trasformando la sua capacità di percepire lo spazio e contemporaneamente il suo modo di concepire il mondo, uno sconvolgimento capace, pur nella difficoltà, di contenere in sé delle rivelazioni.
Lo spettacolo che sarà ospitato a IT.A.CÀ, nasce in realtà da un precedente studio del 2016, “Toccare la roccia”, che si ispirava a un altro testo di Hull, ”Il dono oscuro nel mondo di chi non vede”, e dall'incontro con Clelia Sedda, l'ideatrice di Error Day, per cui inizialmente è stato concepito il lavoro. Oggi essere presenti a un Festival di grande apertura come IT.A.CÀ e in uno spazio dalle grandi potenzialità come Dynamo, con i suoi suggestivi cunicoli, è per noi una bellissima occasione per sperimentarci con pubblici differenti e condurli in un percorso itinerante, un viaggio metaforico ai confini delle proprie percezioni.
Che ruolo gioca in un viaggio così complesso la parola “amore”?
L'amore è sempre centrale, per tutti, ed emerge con forza durante le prove e i laboratori che conduciamo insieme agli attori non vedenti e ipovedenti di Orbitateatro. Quando una persona si trova a fare i conti con la cecità o vi arriva, comincia a farsi molte domande e tra queste è fisiologico chiedersi “potrò ancora essere oggetto del desiderio di qualcuno?”, “quanto il mio non vedere trasforma la mia capacità di amare?”, “che cosa succede se ricordo l'amore?”. Da questo punto di vista abbiamo intrapreso con il gruppo un intenso lavoro drammaturgico, nato su improvvisazione, a partire dai sensi e dai vissuti degli attori, con l'intento di non strumentalizzare ma di aspettare.
Ne sono emerse voci che poi io ho rielaborato in una scrittura scenica condivisa, conscia dell'importanza del tema, qualcosa di estremamente personale, che mette in gioco il confronto con dispositivi sensoriali diversi e su cui non si può generalizzare.
All'interno dello spettacolo, poi, abbiamo raccolto la sfida, grazie alle attrezzature di visul lab, di giocare sulle immagini, volevamo sfondare la remora che a un gruppo di non vedenti non fosse concesso di dialogare ed esprimersi attraverso di esse.
Per restare in tema con il festival, nel vostro gruppo quanti sono i viaggiatori?
Direi che siamo ben assortiti, tra avventurieri e più sedentari. Ho conosciuto comunque diverse persone non vedenti che amano viaggiare e che spesso partono con viaggi strutturati apposta, altri che si cimentano da soli, mettendo in conto di doversi predisporre fisicamente ed emotivamente alla cosa in modo diverso. A Radio Oltre, la radio dell'Istituto Cavazza, spesso chi parte per un viaggio ne restituisce un racconto al rientro. Credo che questo tipo di viaggiatori siano gli ultimi eroi dei nostri tempi, perché partire con quel bagaglio di difficoltà saper affrontare le cose dal punto di vista pratico, essersi evoluti in termini di accettazione, aver cambiato atteggiamento è, di fatto, aver deciso di vivere.
Lucia Cominoli
Per ulteriori informazioni e prenotazioni:
La prenotazione è obbligatoria: www.gruppoelettrogeno.org
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