Il surrealismo di Lee Miller

Arte
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A Palazzo Pallavicini la storia della grande fotografa.

La maggior parte delle donne della sua epoca, e forse anche di questa, si sarebbero accontentate di vivere facendo affidamento sulla propria bellezza e sui vantaggi di un buon matrimonio. Lee Miller invece decise di non porsi nessun tipo di limite e non si perse neanche un istante di una vita vissuta intensamente visibile in parte della mostra curata da Ono Arte Contemporanea Surrealist Lee Miller inaugurata a Palazzo Pallavicini lo scorso 14 marzo.

Nata nel 1907 in un piccolo centro nello stato di New York da una famiglia benestante, la piccola Lee fu subito messa alla prova: a sette anni un amico di famiglia la stuprò e quelle ferite dell’anima furono solo le prime di una lunga serie. Piuttosto irrequieta, studiò a Parigi attorno al 1925 per tornare in America l’anno successivo. Nel 1927 una delle prime svolte della sua vita: l’incontro fortuito con l’editore Condé Nast diede inizio alla sua carriera da modella finendo in quegli anni sulla copertina di Vogue.

Un ruolo, quello della modella, che però le stava stretto. Fu così che decise di tornare a Parigi per passare dall'altra parte dell’obiettivo. La passione per la fotografia l’aveva ereditata dal padre Theodore: nella capitale parigina si diede da fare per diventare l’allieva di Man Ray, riuscendoci. Con il fotografo surrealista iniziò una relazione non solo professionale ma anche intima fatta di sentimenti e di grandi scoperte come quelle della solarizzazione, la tecnica resa celebre da Man Ray e copiosamente impiegata da Lee Miller. Tutte le 101 fotografie esposte nella mostra seguono infatti questo fil rouge anche se l’archivio è ovviamente molto più vasto.

Il Surrealismo Di Lee Miller

Foto: alcune delle opere della Miller in mostra 

Possiamo vedere quindi il passaggio da modella a fotografa indipendente con i lavori realizzati nel suo studio a Montparnasse: alle immagini commerciali e quelle legate alla moda, fanno capolino delle fotografie dalla grande impronta personale a tratti divertenti se non irriverenti. Nel 1932 torna a New York dove ricomincia da capo. Il suo talento e la sua professionalità non le impediranno di lavorare nonostante il periodo della grande crisi. Dopo qualche anno l’artista mossa dalla sua proverbiale irrequietezza si sposa nel 1934 con l’imprenditore egiziano Aziz Eloui Bey e vola in l’Egitto verso un nuovo inizio.

Gli anni vissuti all'ombra delle Piramidi sono giusto una manciata. Di questo periodo rimangono degli scatti che testimoniano la modernità dello sguardo di Lee. Tornata nuovamente a Parigi, immersa in quelle atmosfere vivaci fatte di arte e mondanità, viene travolta dal colpo di fulmine per il collezionista e storico Roland Penrose che sposerà solo nel 1947. In mezzo c’è la guerra e l’incapacità di Lee di starsene con le mani in mano. La macchina fotografica diventava incandescente mentre Londra, città nella quale nel frattempo si era trasferita, veniva bombardata e lei si ritrovava a collaborare con Vogue, in quel periodo diretto dal fotografo Cecil Beaton, realizzando immagini di moda e commerciali.

A quel punto, sollecitata dal corrispondente di Life David Scherman suo amico nonché amante, Lee Miller si accredita alle forze armate Usa come corrispondente di guerra. Mettendo insieme le sue competenze, Lee decide di occuparsi in prima battuta del ruolo della donna durante il conflitto, corredando le sue fotografie con testi scritti di suo pugno che raccontavano senza sconti la realtà dei fatti di cui era testimone oculare. Dopo il D-Day, si reca in Normandia dove immortala il lavoro delle infermiere sul campo. Poco dopo si ritrova a Saint-Malo come unica inviata sul posto senza risparmiarsi.

Divisa dal desiderio di documentare e quello di rendersi utile, la fotografa viene arrestata per aver violato delle zone a lei interdette. Quella prigionia le serve finalmente per riposarsi e per mettere mano ai tanti pensieri che affollavano la sua testa in quella circostanza. Una volta scarcerata, Lee arriverà a Parigi il giorno della Liberazione: quello fu solo l’inizio di una nuova concitata fase che porterà lei e Scherman fino in Germania dove la guerra non era ancora terminata. I due fotografi sono i primi a entrare nel campo di concentramento di Dachau.

Surrealist Lee Miller Courtesy Of Palazzo Pallavicini

Foto: © Surrealist Lee Miller Courtesy of Palazzo Pallavicini 

Lì come a Buchenwald lo scenario che si presenta di fronte ai loro occhi è inimmaginabile: cataste di ossa e di corpi, persone in fin di vita e ufficiali delle SS pestate dai prigionieri. Immagini fortissime esposte in mostra, che restituiscono solo un’infinitesima parte di quello che provò la fotoreporter che, nel momento di informare il giornale, scrisse “vi imploro di credere che tutto questo è vero”. Passati a Monaco, Lee e David irrompono nell’appartamento di Hitler. Lì viene scattata una delle fotografie più conosciute della Miller: lei nuda nella vasca del Fürher. Vediamo un bagno immacolato, sporcato dagli stivali che solo poco prima avevano calpestato l’orrore dei lager.

La fine della guerra per lei non fu semplice. Difficile tornare alla normalità dopo quegli anni passati a sfidare la sorte, fatti non solo di adrenalina ma anche di amfetamine, alcol e sonniferi. Lee torna in America con Penrose e grazie a lui si riprende. A quel punto una nuova passione si affaccia, quella per la cucina, che la porterà a diventare una cuoca di fama internazionale. La macchina fotografica è pressoché appesa al chiodo. Dopo il servizio pubblicato per Vogue nel 1953 sui suoi ospiti intellettuali impegnati in stravaganti attività, la carriera giornalistica è definitivamente archiviata anche nei suoi ricordi.

Lee Miller morirà nel 1977 senza parlare quasi mai della sua vita rocambolesca, tanto che il figlio la maggior parte di ciò che si vede in mostra l’ha scoperto dopo la morte delle madre. Sono tre le citazioni che puntellano la mostra e che raccontano in poche parole la vita eccezionale di questa grande fotografa e la sua personalità fuori dal comune. “Preferisco fare una foto che essere una foto” diceva sentendo stretti i panni della modella ma colpisce anche “non sono Cenerentola, non posso costringere il mio piede nella scarpetta di cristallo”, lei che non si è mai lasciata prendere fino in fondo. Ma forse la frase più vera è “ho lavorato bene e con regolarità e spero in maniera coerente oltre che onesta”. E dopo aver visto la mostra, possiamo dire che è sicuramente riuscita nel suo intento. 

Fino al 9 giugno. Palazzo Pallavicini (via San Felice 24). Orari: da giovedì a domenica dalle 11:00 alle 20:00 (ultimo ingresso alle 19:00). Chiusa il lunedì, martedì e mercoledì, aperture straordinarie il 22 e il 25 aprile, il 1° maggio e il 2 giugno con i medesimi orari. Ingresso: 14-12 euro. Per tutti i dettagli e per le varie riduzioni: www.palazzopallavicini.com

Giorgia Olivieri

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