Fino al 24 giugno in mostra a Palazzo Fava il primo street artist cinese.
È stato il primo street artist cinese. Lo stesso graffito, un profilo stilizzato, e due tag, AK47 e 18K per denunciare, con poche ma incisive spruzzate di bomboletta, la violenza che si ripercuote ogni giorno sulla vita delle persone.
Quell'arte provocatoria Zhang Dali l’ha imparata a Bologna quando, fuggito da Pechino dopo i fatti di Tienanmen del 1989, ha deciso di trasferirsi qualche anno nella città di Patrizia, quella che sarebbe diventata sua moglie. Ora l’artista, cinese di fama internazionale che espone in gallerie e musei di tutto il mondo come il MoMa di New York o la Saatchi Gallery di Londra, torna a Bologna per “Meta-Morphosis”, la mostra curata da Marina Timoteo allestita a Palazzo Fava (via Manzoni 2) dal 23 marzo al 24 giugno organizzata da Genus Bononiae e Fondazione Carisbo.
Foto: ritratti stilizzati creati con i tag AK47 e 18K
«Conosco bene la città e questa mostra per me è la realizzazione di un sogno» dice l’artista. Si tratta della prima antologica in Italia dedicata a Zhang Dali e comprende una ricca selezione di opere, 220 tra sculture, fotografie, dipinti e installazioni divise in nove sezioni che si snodano per tutto il palazzo delle esposizioni. Al centro della ricerca di Dali c’è l’uomo e le sue trasformazioni, da qui il titolo della mostra. «Noi artisti abbiamo cercato di capire l’essenza della trasformazione, il nostro compito è quello di mostrare la realtà così com'è: tutte le mie creazioni hanno a che fare con l’uomo» spiega «le differenze culturali e sociali tra oriente e occidente non sono così grandi: siamo tutti figli di questo pianeta».
In mostra non c’è solo la produzione artistica di Zhang Dali ma anche trent'anni di racconto della Cina contemporanea e delle sue contraddizioni visti attraverso gli occhi dell’artista. «Sono figlio della classe operaia e a scuola mi avevano insegnato che la Cina era un paese grandioso, crescendo ho capito che non era così» continua Dali «trent'anni di trasformazioni dal punto di vista economico hanno determinato quello che è oggi la Cina: ogni cinese è andato di corsa per stare al passo con cambiamenti epocali enormi pagando un grande tributo. Specialmente i lavoratori migrati dalle compagne: sono state loro le vittime sacrificali di questa trasformazione».
Una delle opere più toccanti del percorso è proprio l’installazione "Chinese Offspring", una serie di sculture in vetroresina dalle sembianze umane appese a testa in giù per rappresentare la mancanza di controllo sul proprio destino delle persone coinvolte in questo processo. In mostra anche i cento pannelli della serie "A second history" dove Zhang Dali, usando materiale d’archivio, ha rivelato la manipolazione delle immagini per propaganda dal 1950 al 1980.
C’è la serie "Human World", fragili dipinti ad olio su carta tra i primi lavori di Dali che saranno esposte qui a Bologna per l’ultima volta in assoluto, il documentario "One hundred chinese" sulle condizioni del popolo cinese alle prese con la globalizzazione, i disegni su tela e carta realizzati con la cianotipia di "World’s Shadows" e le statue antropomorfe di "Permanence" in marmo bianco, un materiale nobile prestato per una volta alla raffigurazione delle persone comuni.
Foto: installazione dal titolo "Chinese Offspring"
Quel primo tag AK47 torna nei ritratti di uomini e donne segnati da quella sigla che altro non è che il nome del Kalashnikov che qui sta a testimoniare la violenza del processo di rapida urbanizzazione cinese così come Slogan, ideogrammi che portano su foto segnaletiche trovate in mercatini le frasi propagandistiche della Repubblica Popolare. "Dialogue e Demolition" è un ciclo di fotografie che cattura la rapidità dei cambiamenti urbanistici delle città cinesi. In quelle rovine a partire, dal 1995, Zhang Dali dà inizio alla street artist cinese usando le bombolette come un’arma per denunciare il fenomeno, così come aveva imparato a Bologna. Ora l’arsenale di Zhang Dali non comprende più bombolette spray ma altre espressioni.
«La street art è diventa di moda» commenta «il dibattito è vivo anche in Cina: ci si chiede se è arte oppure se è immondizia che arriva a noi dall'Occidente. Anche il Governo cinese è saltato su questo treno e a me sono arrivati molti inviti ma a tutti ho risposto "no, grazie". Ha smesso di essere marginale, a me non interessa più». La gratitudine per la città che gli ha dato non solo un rifugio trent'anni fa è forte. «Arrivato dalla Cina qui mi sono sentito davvero accettato. Voglio ringraziare Bologna per l’ispirazione».
Per informazioni su: orari, ingressi, laboratori e visite guidate www.genusbononiae.it
Giorgia Olivieri
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