Il mondo del lavoro letto attraverso gli abiti

Arte
Tipografia

Fino al 3 maggio una doppia mostra al Mast.

Dietro quegli abiti considerati da lavoro c’è un mondo da indagare. È questo il tema dell’ultima mostra inaugurata al Mast lo scorso 25 gennaio che riapre oggi 3 marzo dopo la chiusura al pubblico decisa dalla Regione per contrastare la diffusione del Coronavirus. Curata da Urs Stahel, fino al 3 maggio Uniform. Into the work/Out of the work offrirà una riflessione socioantropologica, storica, politica e di costume attraverso una carrellata di oltre 600 immagini di 44 grandi autori del secolo scorso e contemporanei tra cui, solo per citarne alcuni, Irving Penn, Sebastião Salgado, Herb Ritts, Graciela Iturbide, Paola Agosti a cui si aggiungono gli otto contributi video di Marianne Mueller. 

14 Irving Penn Les Garons Bouchers

Foto: Irving Penn | Les Garcons Bouchers,
Paris, 1950 ©Conde Nast

L’abito è quindi molto più di un insieme di tessuti cuciti e indossati ma un modo per rappresentare la stretta relazione tra l’essere e l’apparire. Il gioco di parole suggerito dal titolo della mostra è in sé la chiave di lettura per leggere l’intero percorso: la parola "uniforme" così come "divisa" possono includere o escludere a seconda del contesto di riferimento. Ci sono i due macellai di Penn del 1950 con i loro grembiuli bianchi sporchi di sangue e le operaie della fabbrica di abbigliamento datate 1984 di Helga Paris o quelle della Fiat di Paola Agosti accanto ai "colletti bianchi" ritratti da Clegg&Guttmann o al manager che si tiene la fronte e contiene i suoi pensieri catturato da Florian Van Roekel

Ci sono i religiosi di Roland Fischer, i commessi di H&M di Barbara Davatz ed i "tedeschi in uniforme" di Timm Rautert. Interessante il lavoro di Rineke Dijkstra che segue il mutare delle espressioni sempre più dure del volto del giovane Olivier dal reclutamento nella Legione Straniera alla fine del suo addestramento. Scatti a cui si contrappongono i minatori cinesi di Song Chao con le divise sporche di fuliggine così come i loro volti paradossalmente più distesi.

«In tutte queste opere percepiamo chiaramente come non solo l’abbigliamento ma anche la postura del corpo contribuiscano a raccontare la storia delle condizioni di lavoro» sottolinea Stahel che aggiunge una nota a proposito dell’abbigliamento femminile guardando soprattutto all'opera di Weronika Gęsicka. «Nella storia del costume le donne indossano per la prima volta indumenti maschili da lavoro come atto di camouflage, per nascondere il fatto di essere donne, a volte anche per combattere una guerra con gli uomini» spiega il curatore «in seguito lo fanno come atto di liberazione dalle tradizionali, rigide norme che regolano il vestiario e dai ruoli di genere imposti. Nella moda femminile degli ultimi vent’anni l’uso dell’abbigliamento maschile da lavoro e il cross-dressing diventano un modo attraverso cui le donne esprimono un’immagine nuova di sé, più sicura e più cool».

12 Weronika Gsicka

Foto: Untitled, from the series "Traces" 
©Weronika Gęsicka

Molto più di un’appendice l’altra mostra che trova spazio al Mast in concomitanza con Uniform. Si tratta di Ritratti industriali, una selezione di 364 fotografie che Walead Beshty ha scattato immortalando le persone con cui è venuto in contatto nella sua carriera. Principalmente addetti del mondo dell’arte – artisti, galleristi, curatori ma anche camerieri, tecnici e amici – immersi nel loro contesto che poi è anche quello del fotografo americano. L’intento è quello di cristallizzare ognuno nel suo ruolo e nella sua funzione offrendo una panoramica su uno specifico settore industriale, quello dell’arte. 

Uniform. Into the work/Out of the work e Ritratti industriali. Fino al 3 maggio al Mast, via Speranza 42. Visite guidate, incontri con gli autori e proiezioni sono organizzate durante tutta la durata della mostra. Dal martedì alla domenica: dalle 10:00 alle 19:00. Ingresso gratuito previa registrazione. Ogni info: www.mast.org/uniform

Giorgia Olivieri

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