Giovedì 7 giugno alle ore 21:30 Baba Jaga ospita il performing reportage di Monika Bulaj.
Il teatro è “l'unico rito religioso che ancora alcuni hanno il coraggio di compiere” afferma Mickiewicz nel 1844. “Nella dissoluzione di tutte le cose dello spirito solo l'arte conserva un livello di spiritualizzazione. Essa ha misteri che l'intelletto non ha fatto in tempo a spiegare, l'arte è una sorta di evocazione degli spiriti, è azione misteriosa e sacra”.
Monika Bulaj, Genti di Dio. Viaggio nell'Altra Europa.
A Sassoleone, frazione di Casalfiumanese, sull'Appenino tosco-romagnolo, nella provincia di Bologna, esiste un luogo chiamato Ca' Colmello dove il teatro, l'arte e l'educazione hanno trovato lo spazio per recuperare la forma del tempo. Qui Chiara Tabaroni e Bruno Fronteddu, fondatori dell'Associazione Baba Jaga, offrono ospitalità nel loro casolare a residenze, percorsi, concerti, presentazioni, workshop e approfondimenti culturali aperti al pubblico, a contatto e in dialogo con la natura.
Una vocazione e una proposta, la loro, che ci chiama a sostare nelle dimensioni della lentezza, della poesia, della semplicità e della sacralità sottesa in tutto quello che ci circonda e di cui siamo parte.
Foto: opera della reporter Monika Bulaj
Quest'anno ad aprire la rassegna di teatro, workshops e concerti S.I.A (Sottili Innesti Amorevoli) ci sarà la fotografa, reporter e documentarista Monika Bulaj, protagonista, il prossimo giovedì 7 giugno alle ore 21:30, del performig reportage “Dove gli dei si parlano”.
Lo spettacolo, che chiuderà idealmente il workshop sul fotoreportage “La scrittura creativa e non-fiction del reale”, condotto dall'autrice il 5 e il 6 giugno, sarà un'occasione di incontro con una delle più grandi voci tra gli artisti della nostra epoca, alla scoperta dei territori-mondo da lei toccati e soprattutto dei saperi custoditi dalle persone che, in alcuni casi, ancora li abitano.
Europa, Asia, Africa e Caraibi sono state al centro della ricerca che la fotografa ha condotto dal 1985 sulle minoranze etniche e religiose, mossa, fin dal periodo giovanile, dalla percezione di un'ingiustizia diffusa, fatta di isolamenti, violenze e discrepanze, appresa nella prima infanzia nella sua terra d'origine, la Polonia, la cui memoria è stata macchiata dallo sterminio della popolazione ebraica.
Trasferitasi in Italia nel 1993, il lavoro di Monika Bulaj, così come lei stessa ha affermato, si è affinato ed è cresciuto nel tempo, e oggi si configura come una vera e propria grande opera, che nei viaggi va alla ricerca di quei luoghi e atmosfere dove «il sacro – per usare le sue parole – rompe i confini». Lembi di terra di cui in Europa Occidentale si conosce a malapena l'esistenza e di cui la reporter restituisce un'immagine che balza agli occhi in tutta la sua onirica essenza, sapientemente magnificata da una tecnica pulita e sofisticata.
Quello che ne resta non è solo il documento, il dato, è la testimonianza di un'umanità che ci riguarda nel profondo, di un invisibile che ci accomuna.
Così, accanto alle fotografie, risuonano le scritture che la Bulaj vi accompagna : «Cerco sempre, scrive l'autrice, le ultime oasi d'incontro tra fedi, zone franche assediate da fantasmi armati, patrie perdute dei fuggiaschi di oggi. Luoghi dove gli dei parlano la stessa lingua franca, e dove, dietro ai monoteismi, appaiono segni, presenze, gesti, danze, sguardi. In una parola: l'uomo, la sua bellezza, la sua sacralità inviolabile, ostinatamente cercata anche nei luoghi più infelici del pianeta, seguendo il sole, la luna, le stagioni, i culti e i pellegrinaggi, in una “mappa celeste” che ignora gli steccati eretti dai predicatori dello scontro globale».
Il senso della testimonianza viene ripreso dalla reporter anche nella parallela attività didattica e divulgativa, che non a caso spesso si avvale del teatro, sua grande passione, che l'ha vista anche attrice e regista fino al 2002 e che emerge ora nel reportage con citazioni, riferimenti, omaggi ai maestri della regia, scenografie e, naturalmente, l'insistente legame con il rito.
Foto: opera fotografica della documetarista Monika Bulaj
Portatrice instancabile di valori volti alla costruzione di una cultura di pace, la fotografa è stata insignita di numerosi premi e riconoscimenti, tra cui, nel 2014, il Premio Nazionale “Nonviolenza”, il primo assegnato a una donna.
“Dove gli dei si parlano” ci porterà dunque a confronto con una figura che ben poco ha a che fare con la società dei media così come oggi la intendiamo. Alla performance più che la denuncia verrà affidato il compito del risveglio. Ci hanno storditi e spaventati, ma non per questo, sembra dici la narratrice, abbiamo dimenticato chi siamo davvero.
Approcciarsi all'opera di Monika Bulaj, lo avrete capito, richiede un certo impegno. Il suo è un segno d'artista che va seguito e studiato con lentezza, aprendo altri testi, incontrando altri autori, oppure parlandone con gli amici, mangiando, dormendo, andandosene, proprio come accadeva qualche anno fa, prima dell'avvento dei social e di tutto il resto.
Per cominciare noi di BNB, oltre a esortarvi a spingervi sui colli di Sassoleone, vi proponiamo di esplorare il sito: http://www.monikabulaj.com/, di guardare l'intervista rilasciata a Le Falde del Kilimangiaro nel 2017 e soprattutto il contributo Festival della Letteratura di Mantova 2014, dove la Bulaj ci invita a guardare il contemporaneo come a un'immensa sfida, i cui risultati dipenderanno dalla nostra capacità di accogliere coloro per cui l'ospite è sacro, di percepire e accettare la diversità che abbiamo sotto i nostri occhi e che già è cresciuta.
Prendetevi tutto il tempo che vi serve.
Lucia Cominoli
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