Ultimi giorni di repliche per il nuovo spettacolo di Paolo Billi con la Compagnia del Pratello.
Proseguiranno fino a mercoledì 10 gennaio le repliche di MÈRE UBU IMPRESARIA DI TEATRO CARCERE, l'ultima creazione di Paolo Billi con la Compagnia del Pratello, da sabato 6 in scena al Teatro Arena del Sole di Bologna. Un pastiche patafisico e grottesco, protagonista la figura di Mère Ubu, la celebre regina e compagna di Ubu Roi, il terribile e goffo re protagonista dell'omonima opera di Alfred Jarry del 1896, uno dei testi-simbolo del teatro dell'assurdo. “Merdre!” , l'ambiguo grido, giocato sulle parole mère (madre) e merde (merda), con cui il drammaturgo francese dà avvio al dramma, mentre il sovrano si rivolge proprio a Mère Ubu, sarà solo l'inizio della ricerca linguistica visionaria, corrosiva e dissacrante di un autore che ha sovvertito i canoni della drammaturgia della propria epoca insieme ai concetti di regola e potere.
Jarry è anche il fondatore della patafisica, la cosiddetta “scienza delle soluzioni immaginarie”, una disciplina che si occupa non tanto del generale quanto del particolare, prediligendo le eccezioni all'ordinario e introducendo il presupposto che è scorretto guardare a un fenomeno in modo univoco quando questo può avere infinite interpretazioni. Su queste premesse si poggia anche la riflessione di Paolo Billi, che tuttavia ora sceglie la regina al posto del re e le assegna un ruolo piuttosto insolito, quello di impresaria di un fantomatico Teatro Galera, il Teatrino Patafisico, in cui a esibirsi saranno i minori in carico ai Servizi di Giustizia Minorile con le attrici e gli attori di Botteghe Molière. Sullo sfondo la complessa struttura del panopticon, l'edificio carcerario progettato da Jeremy Bentham nel 1791, concepito affinché le guardie carcerarie potessero osservare tutti i detenuti senza che questi lo sapessero e soprattutto quando.
Abbiamo chiesto a Susanna Accornero, una delle attrici della Compagnia, di raccontarci qualcosa in più...
Chi è la vostra Mère Ubu?
Mère Ubu, sovrana sanguinaria insieme a Ubu Roi, è la vera burattinaia all'interno dell'opera di Jarry, assetata di potere e disposta a tutto purché lui diventi re, una figura molto grottesca, parodia della Lady Macbeth di Shakespeare. La nostra Mère Ubu finisce in galera e una volta che qui ha trascorso il suo tempo si innamora del teatro carcere e decide che la sua missione da quel momento in poi sarà di farsi impresaria e ingaggiare dei galeotti, il più possibile belli e tatuati, resi artisti eccellenti dalla reclusione. Durante tutto lo spettacolo però Mère Ubu si interrogherà su quello che sta facendo, se il teatro in carcere è cioè davvero un'arte o se invece è uno strumento per adescare detenuti e restituirne un'immagine pietistica.
Swift, Rabelais, Cervantes, sono solo alcuni degli autori con cui vi siete confrontati...
Paolo ha lavorato molto con noi sui testi, facendoci notare che anche le cose più becere che potevamo dire e improvvisare nello spettacolo avrebbero assunto la valenza di alta letteratura. C'è una forte dicotomia tra il peso delle parole che pronunciamo e il modo, siamo di fatto dei pazzi che pronunciano delle perle di saggezza anche quando parlano di bassezze. Ma può accadere anche il contrario. Swift, per fare un esempio, cita dei professori e degli intellettuali, che, benché professino grandi intuizioni, non sono minimamente pragmatici e restano di fatto fuori dalla società. Tutte queste ispirazioni nascono in galera, sono riflessioni che si fanno davvero nelle carceri, coinvolgendo chi ci lavora.
Foto: scena tratta dallo spettacolo
I ragazzi si sono riconosciuti in queste parole? Come è stato accompagnarli all'interno del percorso?
Molti testi sono stati scritti anche dai ragazzi stessi durante i laboratori di scrittura di Filippo Milani e in quel caso il riconoscimento è ovviamente forte. Rispetto al confronto con i grandi autori sulla scena abbiamo invece cercato di agire da un'altra prospettiva, abbiamo lasciato perdere gli aspetti più cerebrali a favore di un lavoro prevalentemente corporeo, basato sulla ricerca delle intenzioni più che sulla comprensione totale. Per quanto riguarda l'affiancamento in termini di sostegno, beh, devo dire che più che altro sono loro a sostenere noi. Da parte di noi attrici c'è un carico emotivo immenso a ogni replica e loro sono molto bravi a comprenderlo e a spalleggiarlo. Noi non ci poniamo nei loro confronti con un ruolo educativo, la relazione che si viene a creare è basata esclusivamente sul lavoro teatrale. Lì, in quel contesto specifico, sviluppi un certo tipo di attenzione: cerchi di monitorare la loro responsabilità e di instaurare un rapporto di fiducia.
Come si vive dentro un panopticon?
Il panopticon è stato costruito in carcere e ad abitarlo sono stati in realtà i ragazzi detenuti, protagonisti del video che viene proiettato sul velario che ci racchiude. Come attrice il fatto di essere dietro questo velario su cui vengono proiettate delle immagini mi fatto sentire più tranquilla, da un certo punto di vista è più protettivo e rassicurante. È tuttavia qualcosa che riusciamo a squarciare. Non voglio svelare troppo ma è come dirsi “tu mi vedi, io non ti vedo ma adesso io apro questo velo e ti dico le cose in faccia” Ogni scena porta con sé in parallelo le immagini del video, un'immagine che voi vedete ma che è difficile percepire dall'interno e questo rende il cortocircuito ancora più interessante... La realtà percepita dalle due parti infatti non è mai la stessa.
Il video di scena è stato realizzato all'interno dell'Istituto Penale Minorile di Bologna da Simone Tacconelli e Manuela Tommarelli, mentre la scenografia, a cura dell'architetto Gazmend Llanaj, è stata costruita direttamente dai ragazzi dell'IPM nel corso delle attività di formazione professionale gestite dall'IIPLE.
Lucia Cominoli
Per ulteriori informazioni:
Teatro del Pratello Società Cooperativa Sociale in Via del Pratello, 23 - Bologna
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. | bologna.emiliaromagnateatro.com
051/558576 - 333/1739550
BLOG COMMENTS POWERED BY DISQUS